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Mese: Gennaio 2011

Lavoro e filosofia

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E’ innegabile che è meglio lavorare occupandosi di qualcosa che piace piuttosto che di qualcosa che non piace.

Nel mio caso, è molto meglio lavorare nel settore informatico che fare il ragioniere in banca.

Tuttavia, da un punto di vista generale, ho sempre considerato validissimo il principio economico elementare del minimo mezzo, il quale dice che “lo scopo finale dell’attività  dell’uomo è ottenere i massimi risultati possibili impiegando il minimo sforzo possibile” (è una sintesi fatta a memoria).

Da questo ne deriva che lo scopo di tutti noi sarebbe quello di ottenere quello che ci serve per vivere lavorando il meno possibile.

A prima vista un po’ tutti siamo d’accordo, ripensando anche ai vari progressi tecnologici e scientifici che sono sempre stati diretti ad alleggerire il lavoro fisico, a rendere più tollerabile l’attività  in fabbrica, ecc.

Però la cosa non è così lineare. E’ diffusissimo il concetto secondo cui l’attività  lavorativa è il mezzo attraverso il quale realizzare la propria personalità , le proprie ambizioni e per trovare il proprio posto nell’ordine delle cose. Ne deriva che esistono moltissime persone che, sia a livello conscio che ad uno strato più inconsapevole, si sentono profondamente a disagio quando non possono svolgere il proprio lavoro. Non mi riferisco ovviamente alla disoccupazione, ma alle situazioni di pausa o di vacanza, che a parole sono ambite da tutti, ma che all’atto pratico per alcuni rappresentano una specie di tortura che li costringe a un ozio che non riescono a sopportare.

Vorrei in questo senso citare un paio di articoli dal blog di Astutillo Smeriglia, che consiglio in quanto fonte di ironia non-sense spesso corredata anche di intelligenti analisi.

Avere il tempo per fare quello che si è scelto dovrebbe essere l’aspirazione di tutti, non una disgrazia. Uno che fa solo ciò che è costretto a fare finisce col diventare identico a milioni di altre persone. È terribile quando uno diventa un clichè: “gran lavoratore padre di famiglia lascia la moglie, due figli e una Mercedes”. Solo quando uno sceglie è se stesso, quando obbedisce non è nessuno.

e anche

Sgobbare tutta la vita per due soldi può essere una spiacevole necessità, non un’aspirazione. Se uno passa la vita a sgobbare per due soldi rischia di annullarsi nello sgobbare, di immedesimarsi con il suo sgobbare. È terribile quando uno diventa il lavoro che fa: “mio cugino è un autista”, “è morto un cameriere”, “è nato uno spazzino”. Quando uno finisce con l’immedesimarsi con il proprio particolare tipo di sgobbare, il poco tempo libero che ha non lo dedica più a ciò che veramente gli interessa, ma a riprendere fiato. Il tempo libero serve solo a rigenerarsi per lo sgobbare.

La cosa è interessante perchè quello che si nota ad una attenta analisi è che la maggior parte della gente vive le pause dal lavoro – fine settimana, ferie – principalmente come momenti di riposo e rigenerazione per potersi poi meglio rituffare nell’attività lavorativa giornaliera, vero fulcro del proprio essere.

La visione che preferisco vede invece i momenti di pausa come fulcro e obiettivo dell’intera attività, e l’attività stessa come funzionale al guadagnarsi quei momenti. In altri termini, non vado in vacanza due settimane per potermi tuffare in un anno di lavoro, bensì lavoro per un anno per potermi guadagnare due settimane di vacanza.

E’ una visione che può senz’altro essere molto logorante, data appunto la suddivisione di spazi temporali che tutti comunemente viviamo. Vivere 11 mesi e rotti in funzione di sole due settimane all’anno può dare un gran senso di frustrazione, ma personalmente lo preferisco.

Capodanno primaverile

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Alcune foto che ho scattato oggi pomeriggio a Donnalucata, al termine dei 5 giorni di vacanza che mi son fatto in occasione della Befana, tra un ponte giorno 7 e un giorno di ferie in più preso giorno 5.

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Negli ultimi tre giorni c’è stato pieno sole e una temperatura intorno ai 20° nella mattinata… mentre altrove nevica e si combatte col ghiaccio! Non che sia una sorpresa, in genere il clima in questo angolo di Sicilia è quasi sempre mite, e noi siamo abituati a considerare “fredde” le temperature di 8-10°, dato che per la maggior parte dell’inverno si mantengono intorno ai 12-15°, soprattutto nelle zone costiere.

Anche il precedente fine settimana natalizio non era stato molto freddo. Ne approfitto per fare un accenno alla tradizione natalizia locale:

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In tutta la provincia di Ragusa il cenone della vigilia di Natale consiste principalmente nelle scacce. Nella zona di Scicli e Donnalucata però a Natale le scacce cambiano nome e si chiamano pastizzi. I pastizzi sciclitani sono in pratica delle torte salate, infatti la tradizione vuole che si facciano nelle teglie rotonde, e non con la forma di focaccia tipica delle scacce. Non hanno quindi alcuna relazione con i pastizzi maltesi, di cui ho recentemente scoperto l’esistenza. Sono di svariati tipi con diversi ripieni, e sempre secondo la tradizione andrebbero preparati tutti, in modo che ognuno dei commensali assaggi varie fette di diversi pastizzi. I più popolari sono quelli con i broccoli, quelli con ricotta spinaci e uvapassa, quelli con carne e patacche – le patacche sono i topinambur nel linguaggio regionale -, quelli col pesce palombo e gli spaghetti, quelli con le melanzane, ecc.ecc.

L’abbondanza dei tipi di pastizzi esistenti e la tradizione di prepararli per forza praticamente tutti hanno fatto nascere nel passato molte storielle e ironie familiari sugli avanzi dei pastizzi, che duravano per settimane e settimane e diventavano una specie di tortura alimentare fra parenti. Adesso in genere si tende a prepararne pochi, e solo nei gusti che si è sicuri di consumare in tempi ragionevoli senza andare a intaccare troppo gli appetiti per i pranzi dei giorni seguenti. Inoltre nel passato si trattava dell’unico cibo festivo delle vigilie, mentre adesso sono entrati nelle abitudini alimentari festive siciliane anche tutti quei piatti tipici di altre regioni ma considerati universalmente natalizi e di capodanno: mi riferisco a cotechino e lenticchie, al panettone e al pandoro, ai torroni di cioccolata (perchè qui invece sono tradizionali i torroni di mandorle e di sesamo cioè la cubaita detta anche giuggiulena).

L’ora di Firefox 4

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Con l’uscita della beta 8 di Firefox 4 mi sono deciso a tentare il passaggio definitivo, cioè impiegare la nuova release come mio browser di default al posto di Firefox 3.6.

Fino ad adesso mi ero limitato a testare la versione 4 brevemente, ma nulla più. Questo non tanto perchè non fosse stabile o affidabile, ma perchè mancavano le estensioni che io giudico essenziali, per lo meno per come utilizzo io il browser. Ormai considero Greasemonkey del tutto irrinunciabile; i suoi script per personalizzare Facebook e miriadi di altri siti sono il massimo della vita, e adesso che ci sono delle nightly build di GM compatibili con Firefox 4 si può incominciare a parlare di migrazione. Stessa cosa dicasi per Stylish, che con le sue estensioni javascript a xul mi permette di impostare le toolbar del browser con la scomparsa automatica quando non sono utilizzate.

Infatti un merito che riconosco a Chrome è quello di averci fatto scoprire quanto bello sia navigare con una finestra ampia e sgombra, circondata da una cornice minima ed essenziale, al contrario di quanto era diventato comune prima della sua comparsa, ossia browser infarciti di toolbar che occupavano quasi tre quarti della finestra di navigazione. Il problema però è che poi quelle toolbar servono e sono comode, quindi anzichè eliminarle come fa Chrome io preferisco nasconderle e farle riapparire solo quando ci passa sopra il mouse, cosa che si realizza egregiamente appunto con Stylish.

Il cambio di GUI di Firefox 4 è in fondo relativo. Le “tab on top” sono la cosa più pubblicizzata ma in realtà trovo che non cambino molto. L’idea viene da Chrome e su Chrome rappresenta un cambiamento notevole, ma perchè accompagnato dall’assoluto minimalismo di cui sopra. Su Firefox si nota che spostando le tab sopra o sotto alla barra di navigazione cambia ben poco perchè l’occupazione di spazio è sempre la stessa.

Simpatica l’idea delle PinTab, le tab più piccole da tenere sempre aperte a mo’ di applicazione. Nulla che non fosse già realizzabile su FF3 con una estensione apposita, sia ben chiaro.

Trovo invece più di impatto la nuova filosofia della menu bar nascosta, non perchè sia nuova, infatti già si poteva fare sulle ultime versioni di FF3, ma perchè quando si nasconde la menubar adesso compare un pulsantone cumulativo – che ricorda un po’  quello di Office 2007/2010 – all’interno del quale sono raggruppate tutte le voci che normalmente stanno nella barra menu, il che presumo serva a eliminare la necessità di far poi ricomparire la barra quando serve accedere alle opzioni, come si fa in FF3 premendo un tasto o andando col mouse in zona menu.

L’impatto è dato dal fatto che ci si ritrova questo pulsantone e lo si vorrebbe spostare un po’ in giro per levarselo dai piedi, ma non ci si riesce a meno che non si installi qualche estensione che lo rende spostabile, ma di converso lo rende anche più evidente trasformandolo da grigio in arancione. Oh beh, si tratta ancora di una beta, magari nella versione finale sarà diverso.

Il tema di integrazione con KDE4 Oxygen è un vero gioiellino, pieno di opzioni e con la possibilità di avere finalmente anche i menu contestuali con gli angoli arrotondati, appunto in stile oxygen, invece di quelli squadrati tipici di FF3 e GTK.

Per il resto, il browser si conferma più leggero e veloce di FF3 e questo non può che essere positivo. Tutto sommato mi ci sto trovando bene e penso quindi che manterrò l’utilizzo della beta fino poi all’uscita definitiva di Firefox 4.

Ah, ovviamente tutte le considerazioni che ho fatto sono relative a Firefox su Linux e KDE! 🙂

CC BY-NC-SA 4.0 .