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Mese: Ottobre 2012

Night is the new day

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Tracklist:
1. Forsaker
2. The Longest Year
3. Idle Blood
4. Onward Into Battle
5. Liberation
6. The Promise of Deceit
7. Nephilim
8. New Night
9. Inheritance
10. Day and Then the Shade
11. Departer

No more Webshots

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Nel mondo di internet sono pochi i servizi che esistono da 20 anni. Persino l’onnipotente Google esiste soltanto da circa 14 anni, e io ricordo ancora un sacco di servizi popolarissimi risalenti a periodi precedenti e di cui non c’è più alcuna traccia.

Webshots esiste dal 1998, ed è nato come servizio di download di immagini da usare come sfondo (wallpaper) di Windows, aggiungendo poi nel giro di breve la possibilità di caricare foto da parte degli utenti, e di esporli in aree tematiche agli altri utenti, consentendo di votarle, scaricarle come proprio sfondo, inserirle in siti terzi tramite url, ecc. Insomma, un po’ quello che fa Flickr – anche se non esattamente – ma da prima che ci fosse Flickr.

Con gli anni si è sviluppata una comunità vasta e attiva, e molto focalizzata, composta soprattutto da fotografi professionisti e amatoriali di alto livello, alquanto diversa da quelle che si sono formate negli anni successivi intorno ad altri servizi di sharing di immagini, che sull’onda delle novità di internet si sono popolati principalmente di utenti giovani e dotati di apparecchiature poco professionali (principalmente cellulari e macchine fotografiche digitali economiche), e con un interesse marginale per la fotografia artistica.

Webshots come azienda negli anni è passata di mano diverse volte, e per una certa fase della sua vita è stata anche un affare piuttosto redditizio, tanto da consentire ai creatori originali di incassare notevoli cifre a seguito della prima cessione. Circa 5 anni fa American Greetings, un colosso americano dei biglietti di auguri, ha acquistato Webshots e sembrava intenzionato a infondergli nuova vita.

Il tutto è andato avanti finora in tutta tranquillità per gli utenti del servizio, che hanno continuato pacificamente per decenni a condividere le loro foto, a scaricare sfondi, a pagare la sottoscrizione annuale, e a ritenere che non ci fossero problemi di sorta.

Invece il 1 ottobre 2012 arriva il fulmine. Sulla pagina Facebook dedicata a Webshots compare un annuncio: il servizio è stato ceduto da American Greetings a due dei suoi creatori originali, i quali sono felici di annunciare che hanno concepito un nuovo servizio di cloud storage delle immagini. Il vecchio sito morirà il 1 dicembre, e il nuovo servizio supporterà solo alcune delle precedenti funzioni, avendo un diverso orientamento di fondo.

La reazione della comunità degli utenti è stata una delle più stupefatte e addolorate che abbia mai visto. In tanti anni ho visto chiudere o cambiare radicalmente tantissimi servizi e siti online, e in genere c’è sempre una certa reazione negativa da parte di un gruppo di utenti di solito ridotto, una reazione possibilista da parte della gran parte dei membri, e una reazione entusiasta da parte di quelli che già sapevano delle novità, o che avevano tanto da lamentarsi del vecchio servizio. In questo caso invece la reazione negativa è stata unanime. Gente che posta foto da 10, 15, 18 anni letteralmente in lacrime all’idea di perdere gli amici di tutti i giorni, di non poter più partecipare ai contest mensili, di non poter più vedere nuove immagini.Tutti sorpresi da una notizia di cui fino a poche ore prima non c’era il minimo sentore. Soprattutto gli utenti paganti che fino al giorno precedente si erano visti regolarmente rinnovare la sottoscrizione periodica per un altro anno di un servizio che invece non ci sarebbe stato più, non nella forma per la quale avevano pagato.

Il comunicato iniziale dei gestori tutto orientato ad annunciare con gioia il nuovo servizio e a liquidare laconicamente chi ancora fosse interessato a un sito web “1.0” a rivolgersi ad altri servizi come Flickr, Instagram, ecc.

Ma il tono delle reazioni è stato talmente indignato da costringere i gestori, che inizialmente avevano forse sperato in una calda accoglienza, ad assumere un atteggiamento più contrito, a dichiararsi dispiaciuti per la perdita inflitta alla comunità (che di fatto viene annullata), a spiegare che i costi di mantenimento del sito di Webshots ammontano a qualche milione di dollari l’anno e che l’insostenibilità di tali spese era stata già decretata da 6 mesi, per cui senza questo intervento di salvataggio in realtà il sito sarebbe già stato chiuso.

In fretta e furia sono stati preparati i moduli per chiedere il rimborso delle quote di sottoscrizione pagate, facendo lievemente trasparire l’illusione iniziale che l’accoglienza sarebbe stata ampiamente positiva e che tutti o quasi avrebbero continuato a pagare per il nuovo servizio, senza che ci fosse bisogno di pensare a rimborsi.

Per farla breve comunque, presto dunque sparirà uno dei portali di fotografia più noti e usati, e senza dubbio quello che esiste da più tempo, lasciando tanta tristezza, delusione, e qualche community di utenti timidamente migrata su Flickr e su Facebook.

Personalmente mi sono abbonato a Webshots nel 2001, e da allora l’ho utilizzato principalmente come fonte giornaliera di nuovi sfondi per il desktop dei miei vari pc in partizione Windows. La collezione di immagini scaricate può essere preservata e convertita dal formato proprietario che usa il client Webshots a semplici file jpg, quindi almeno lo storico e il ricordo di quello che è stato un servizio molto bello e amato possono essere preservati.

Slackware Linux 14.0, e il futuro

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Il 26 settembre, dopo ben 5 release candidate, a testimonianza di lunga riflessione, è uscita la Slackware 14.0.

L’annuncio ufficiale cita le svariate novità di questa versione, che spaziano dal kernel Linux 3.2.29, a XOrg X11R7; la Glibc 2.15; Firefox & Thunderbird 15.0.1; KDE 4.8.5 (anche se è possibile reperire già la versione 4.9.2 dai repository di AlienBOB); le ultime versioni di Perl e Python, la versione 2.8.x di Gimp, in cui viene finalmente introdotta l’interfaccia a finestra singola.

Spicca inoltre la presenza del compilatore Clang/LLVM, di origine Apple e ormai divenuto il compilatore ufficiale per FreeBSD, che ha guadagnato la scena negli ultimi tempi come realistica alternativa a GCC, il quale è anche lui presente alla release 4.7.1.

Viene inoltre introdotto l’utilizzo di NetworkManager come metodo unificato per la gestione delle interfacce di rete sia ethernet che wireless, e tutta la struttura di script della distribuzione è stata adattata  per la gestione dinamica degli indirizzi sulle interfacce, anche se rimane sempre possibile configurarle con il metodo tradizionale del file .conf. Rimane anche presente Wicd, l’altro gestore di interfacce di rete, che ha meno diffusione nel mondo Linux ma è ugualmente stabile e valido.

A margine della felicità per la release, voglio anche citare quelle che sono le preoccupazioni che si stagliano all’orizzonte per il futuro delle distribuzioni come Slackware, ossia quelle che non si assimilano alle scelte mainstream. Mi riferisco all’avvento di Systemd e Udisks2.

Systemd si propone come gestore dell’init di sistema a soppiantare integralmente sysvinit e l’intera filosofia di gestione avvio e servizi in stile System V o BSD, che da decenni sono alla base di tutti i sistemi operativi di derivazione Unix. Negli ambienti legati a Redhat e GNOME si è affermata l’idea che sia necessario liberare Linux da ogni eredità della tradizione Unix. Immagino che anche il successo di Android, il quale unisce il kernel Linux a una struttura di sistema non di derivazione GNU/Unix, abbia alimentato questa teoria. Non ci sarebbe di per se nulla di male, dato che nel mondo OpenSource da sempre tutti sono liberi di sviluppare nuove soluzioni e alternative, ma in questo caso i sostenitori e gli sviluppatori di Systemd pongono forti pressioni sul fatto che non ci si preoccupi di mantenere più alcun tipo di compatibilità con il sistema init tradizionale, e ne incoraggiano apertamente l’abbandono e la scomparsa, definendo obsoleti e irrilevanti i sistemi che vogliono ancora legarsi a una concezione di stretta derivazione Unix, tra i quali l’intera famiglia *BSD. E’ evidente che questo tipo di approccio, espresso anche in maniere irrispettose e arroganti, se dovesse diffondersi su larga scala potrebbe segnare la fine delle distribuzioni che non volessero adeguarsi ad adottare questo nuovo init, in quanto i vari servizi necessari al funzionamento di un sistema Linux andrebbero a legarsi in maniera sempre più stretta e indissolubile a Systemd rendendo difficile, se non addirittura impossibile, riadattarli all’uso in un sistema init tradizionale.

Systemd inoltre, ed è questo l’aspetto più minaccioso per ragioni che chiarisco poco più avanti, avoca a se le funzioni di dialogo con l’hardware che finora sono state svolte da Udev, il quale è stato fuso in Systemd cessando di esistere come software autonomo.

Udisks2 si inserisce sulla stessa scia, come nuovo metodo di gestione del montaggio dei dispositivi di storage che si distacca dal metodo tradizionale a tal punto che non è più possibile montare i device da linea di comando usando il comando mount!

Vale la pena di sottolineare poi che questi due nuovi software portano con se anche altri due effetti. Il primo è che GNOME 3.2 è totalmente dipendente da systemd e Udisks2, e questo lo lega in maniera esclusiva a Linux e ne impedisce l’uso su BSD. Devo però ammettere che questo è l’aspetto che mi preoccupa di meno, dato che Gnome non mi è mai piaciuto, e non vedo nessun disagio nel non poterlo usare. L’altro effetto è quello di togliere il terreno sotto i piedi a tutti gli altri desktop environment e desktop manager, tra cui appunto KDE, ma anche Xfce e gli altri minori, i quali sono stati integralmente costruiti per dialogare con l’hardware di sistema attraverso Udev e messagebus, e modificarli per lavorare con Systemd sarebbe un lavoro non indifferente, quando fosse possibile.

Le principali ragioni in positivo che spingono all’adozione di questi nuovi sistemi sono il desiderio di velocizzare l’avvio iniziale di un sistema Linux, parallelizzando la partenza dei servizi in modo tale che in pochissimi secondi tutto sia attivo, e il pieno supporto all’inserimento e disinserimento a caldo delle periferiche di storage esterne.

I punti di forza di un sistema init tradizionale invece sono la semplicità e leggibilità delle configurazioni, e la predicibilità della sequenza di avvio, che segue un ordine di partenza dei servizi ben preciso e calcolato, al prezzo di una lentezza nella partenza del sistema, che a mio avviso è assolutamente irrilevante e trascurabile considerate le prestazioni dei moderni sistemi.

Ora, è chiaro che tutto ciò assume un aspetto negativo solo nella misura in cui si attribuisca importanza al mantenimento di un’architettura Unix tradizionale all’interno di una moderna distribuzione Linux, e il tutto sarebbe legittimo e rispettabile se non ci fossero gli espliciti incoraggiamenti e le effettive spinte all’abbandono di ogni compatibilità con il sistema tradizionale.

Bisognerà quindi vedere se nel futuro Slackware sarà obbligata ad adottare Systemd e ad abbandonare la sua proverbiale struttura di file di avvio leggibili e comprensibili, o se si apriranno spazi per la sopravvivenza di un init tradizionale. Tempi duri.

ownCloud 4.0.7

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Nella serata di ieri ho completato la migrazione del servizio ownCloud di LoneStar Network alla versione 4.0.7.

Eravamo rimasti alla versione 3.0.2 per moltissimo tempo, per motivi legati alla versione di PHP presente nella Slackware che faceva da base al servizio, ovvero la 13.1. Sarebbe stato necessario passare al PHP 5.3, ma ho preferito attendere l’uscita della Slackware 14 – a cui dedicherò un articolo a parte -, in modo da installare una nuova macchina e la versione più recente del servizio.

Proprio in queste ore comunque è uscita la versione 4.5 di ownCloud, quindi si prospetta un altro upgrade, che però stavolta dovrebbe essere un semplicissimo aggiornamento dei file! 🙂

 

CC BY-NC-SA 4.0 .