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Siamo l’ultima generazione? No, siamo solo l’ultima frase fatta

Articolo scritto con l’uso di Intelligenza Artificiale

Quante volte sentiamo frasi come:

“Siamo l’ultima generazione che può salvare il pianeta.”

“Siamo l’ultima generazione a conoscere la vita senza internet.”

Espressioni ad effetto, spesso utilizzate nei discorsi politici, ambientalisti, motivazionali o nostalgici. Ma c’è un problema serio dietro queste formule: l’uso scorretto del termine generazione.

Nel linguaggio comune, si è diffusa l’idea che “generazione” significhi semplicemente noi oggi, come se tutta la popolazione vivente appartenesse alla stessa categoria temporale, storica e culturale. Questo è concettualmente sbagliato.

In realtà, le generazioni si susseguono nel tempo, si sovrappongono, convivono. Un bambino nato oggi non appartiene alla stessa generazione di chi ha 50 o 70 anni. Dire quindi che “siamo l’ultima generazione che…” presuppone un’uniformità che non esiste.

Le generazioni si distinguono (e si rinnovano)

In demografia, una generazione è definita come l’intervallo medio tra la nascita dei genitori e quella dei figli, solitamente attorno ai 25-30 anni. Ma nel linguaggio socioculturale, le generazioni vengono identificate in cicli ancora più brevi — spesso ogni 7-15 anni — per riflettere cambiamenti nei valori, nei riferimenti storici, nell’accesso alla tecnologia e nei modelli educativi.

Ecco un esempio di come vengono comunemente suddivise:

  • Baby Boomers (nati 1946–1964)
  • Generazione X (1965–1980)
  • Millennial (1981–1996)
  • Generazione Z (1997–2012)
  • Generazione Alpha (dal 2013 in poi)

Tutte queste generazioni coabitano oggi nel mondo, ognuna con esperienze diverse, con ruoli e responsabilità diverse nella società.

Un problema retorico (e ideologico)

L’espressione “siamo l’ultima generazione che…” è anche una scorciatoia retorica. Serve a:

  • creare allarme o urgenza morale
  • evocare un senso di responsabilità collettiva
  • o, al contrario, una forma di nostalgia/autocelebrazione (“noi sì che sappiamo com’era la vera vita”)

Ma non è neutra: è un modo di semplificare la realtà e di parlare a nome di tutti, senza distinguere chi sta parlando né a chi ci si rivolge.

In certi casi, può addirittura contribuire a generare tensioni artificiali, come nei discorsi sul “conflitto generazionale” (giovani vs vecchi), spostando l’attenzione dalle vere cause strutturali dei problemi verso colpe immaginarie.

Le parole non sono dettagli secondari: strutturano il pensiero, orientano il modo in cui leggiamo la realtà e parliamo delle responsabilità, dei diritti, delle possibilità. Usare male il termine “generazione” significa semplificare una realtà complessa, impedendo un’analisi lucida dei problemi (ambientali, sociali, politici) che invece richiedono profondità e precisione.

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