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Categoria: Sfoghi

Lavoro e filosofia

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E’ innegabile che è meglio lavorare occupandosi di qualcosa che piace piuttosto che di qualcosa che non piace.

Nel mio caso, è molto meglio lavorare nel settore informatico che fare il ragioniere in banca.

Tuttavia, da un punto di vista generale, ho sempre considerato validissimo il principio economico elementare del minimo mezzo, il quale dice che “lo scopo finale dell’attività  dell’uomo è ottenere i massimi risultati possibili impiegando il minimo sforzo possibile” (è una sintesi fatta a memoria).

Da questo ne deriva che lo scopo di tutti noi sarebbe quello di ottenere quello che ci serve per vivere lavorando il meno possibile.

A prima vista un po’ tutti siamo d’accordo, ripensando anche ai vari progressi tecnologici e scientifici che sono sempre stati diretti ad alleggerire il lavoro fisico, a rendere più tollerabile l’attività  in fabbrica, ecc.

Però la cosa non è così lineare. E’ diffusissimo il concetto secondo cui l’attività  lavorativa è il mezzo attraverso il quale realizzare la propria personalità , le proprie ambizioni e per trovare il proprio posto nell’ordine delle cose. Ne deriva che esistono moltissime persone che, sia a livello conscio che ad uno strato più inconsapevole, si sentono profondamente a disagio quando non possono svolgere il proprio lavoro. Non mi riferisco ovviamente alla disoccupazione, ma alle situazioni di pausa o di vacanza, che a parole sono ambite da tutti, ma che all’atto pratico per alcuni rappresentano una specie di tortura che li costringe a un ozio che non riescono a sopportare.

Vorrei in questo senso citare un paio di articoli dal blog di Astutillo Smeriglia, che consiglio in quanto fonte di ironia non-sense spesso corredata anche di intelligenti analisi.

Avere il tempo per fare quello che si è scelto dovrebbe essere l’aspirazione di tutti, non una disgrazia. Uno che fa solo ciò che è costretto a fare finisce col diventare identico a milioni di altre persone. È terribile quando uno diventa un clichè: “gran lavoratore padre di famiglia lascia la moglie, due figli e una Mercedes”. Solo quando uno sceglie è se stesso, quando obbedisce non è nessuno.

e anche

Sgobbare tutta la vita per due soldi può essere una spiacevole necessità, non un’aspirazione. Se uno passa la vita a sgobbare per due soldi rischia di annullarsi nello sgobbare, di immedesimarsi con il suo sgobbare. È terribile quando uno diventa il lavoro che fa: “mio cugino è un autista”, “è morto un cameriere”, “è nato uno spazzino”. Quando uno finisce con l’immedesimarsi con il proprio particolare tipo di sgobbare, il poco tempo libero che ha non lo dedica più a ciò che veramente gli interessa, ma a riprendere fiato. Il tempo libero serve solo a rigenerarsi per lo sgobbare.

La cosa è interessante perchè quello che si nota ad una attenta analisi è che la maggior parte della gente vive le pause dal lavoro – fine settimana, ferie – principalmente come momenti di riposo e rigenerazione per potersi poi meglio rituffare nell’attività lavorativa giornaliera, vero fulcro del proprio essere.

La visione che preferisco vede invece i momenti di pausa come fulcro e obiettivo dell’intera attività, e l’attività stessa come funzionale al guadagnarsi quei momenti. In altri termini, non vado in vacanza due settimane per potermi tuffare in un anno di lavoro, bensì lavoro per un anno per potermi guadagnare due settimane di vacanza.

E’ una visione che può senz’altro essere molto logorante, data appunto la suddivisione di spazi temporali che tutti comunemente viviamo. Vivere 11 mesi e rotti in funzione di sole due settimane all’anno può dare un gran senso di frustrazione, ma personalmente lo preferisco.

Poco da aggiungere…

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L’OpenSource dimentica Linux?

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Mi capita di notare sempre più spesso progetti OpenSource anche piuttosto blasonati che presentano i propri prodotti essenzialmente con screenshots presi su Windows o su Mac OS X. Ci avete fatto caso anche voi?

Ma non solo la presentazione estetica, spesso le features e le innovazioni vengono sviluppate primariamente sul porting Windows/Mac del prodotto, e solo secondariamente vengono rese disponibili anche nella versione Linux.

Mi viene in mente Firefox. E’ ormai evidente che tutto lo sviluppo di Firefox avviene principalmente per la versione Windows, poi per la versione Mac, e in ultimo per la versione Linux. Basta aprire il sito principale di Firefox per veder campeggiare immagini del browser prese su Windows o al massimo su Mac.

La cosa mi lascia particolarmente perplesso anche per via del fatto che a me sembra che le cose stiano esattamente al contrario, nel senso che trovo che l’estetica del desktop su Linux – principalmente con KDE4 – ormai sia talmente superiore a quella di Windows 7 e di Mac OS X da rendere insensato persino il tentativo di un confronto. E lo dico da utente che utilizza anche Windows 7, e che è giornalmente accerchiato da utilizzatori di Mac OS (sigh!).

Alcuni mesi fa fece scalpore – nell’ambito geek ovviamente – la notizia del player multimediale Songbird, progetto OpenSource di discreta fama, che ha deciso di abbandonare del tutto lo sviluppo su Linux per concentrarsi solo sugli ambienti Windows e Mac, giustificandosi col fatto che sia gli sviluppatori che gran parte degli utenti del prodotto utilizzano principalmente Windows e Mac.

E’ chiaro che, vista la pletora di applicazioni duplicate, fork di progetti, differenti implementazioni, il mondo Linux non soffre certo di penuria di applicazioni o sindrome di abbandono, ma la cosa mi sembra lo stesso alquanto singolare.

Ritengo “naturale” per un progetto OpenSource avere il proprio ambiente principale su Linux – o al massimo su *BSD, anche se in tal caso non si parlerebbe esattamente di Open Source, ma questo è un altro discorso. Che poi ci si dedichi anche alla versione Windows/Mac va bene, ma sempre con un’attenzione secondaria!

Tutti quanti sembrano aver dimenticato quando, soltanto una decina di anni fa, si profetizzava l’affermazione di Linux come principale sistema desktop, e sembrano comodamente assestati su una pacifica convivenza nel ruolo di comparsa di secondo piano, lasciando a Windows e Mac il ruolo di protagonisti.

Obscured by clouds

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La storia dell’informatica è piena di cose che avrebbero dovuto essere e poi non sono state. Nei primi anni ’80 era praticamente ovvio per tutti che UNIX sarebbe stato il dominatore del mondo dell’informatica non enterprise. E quando tutto era lì lì per accadere, spuntano le unix wars da una parte e Windows dall’altra. E Unix diventa un oscuro sistema di nicchia per i fissati della linea di comando.

Fra la fine degli anni ’80 e la prima metà degli anni ’90, noi informatici/telematici di primo pelo, che ci trastullavamo tra modem analogici, connessioni tra i 2400 e i 57600 baud, BBS, Itapac 1421, Videotel, connessioni a internet tramite modem verso Video On Line, e altre amenità del genere eravamo in trepidante attesa dell’arrivo di internet a domicilio. La mitica ADSL, che avrebbe consentito a tutti noi di diventare provider di noi stessi, e così trasportare su internet la precedente esperienza delle BBS. Gestire il nostro sito, fornire i nostri servizi amatoriali di messaggistica, scambio file, chat e così via dicendo per la nostra cerchia di fedeli utenti seguaci, che ci portavamo dietro dal mondo Fidonet-like con la logica del nodo BBS centrale e dei point utente affiliati.

Ci immaginavamo “Sysop” della nostra BBS trasportata dal modem analogico all’ADSL, dotati del nostro dominio, del nostro indirizzo ip pubblico ufficiale, e ritenevamo naturale pensare che avremmo fornito i nostri servizi amatoriali gratuiti in maniera più veloce e agevolata dalle tecnologie internet (http, ftp, ecc.) che non dovevano far fronte ai compromessi imposti dalle connessioni modem che non erano always-on, dal costo proibitivo delle bollette telefoniche della SIP, ecc.

Poi nel momento in cui tutto questo è diventato possibile, l’ADSL ha raggiunto davvero tutti gli angoli, i costi di connessione sono diventati bassi, gli indirizzi ip pubblici si potevano ottenere con facilità, tutto quello che volevamo realizzare era già diventato una folle fissazione da geek retrogradi. Gestire il mio server sul mio pc a casa? Ma sei folle?? Non ho tempo, non ho voglia, non posso tenere il pc sempre acceso, e se poi l’adsl va giù, e se manca la corrente, e – soprattutto – chi me lo fa fare quando c‘e’ Gmail che è gratis e funziona così bene!

Siamo passati di colpo e senza nessun pentimento dall’essere assoluti gestori di noi stessi e padroni dei nostri dati all’essere utenti passivi di servizi gestiti da grosse multinazionali, che ce li concedono gratuitamente, ma in cambio del diritto di proprietà sui “nostri” stessi contenuti, del diritto di cessare o rendere a pagamento il servizio in qualsiasi momento, e di altre belle cosette.

Avevamo anche un’altra convizione una volta: che prima o poi il desktop computing avrebbe raggiunto livelli di diffusione e di funzionalità tali per cui tutti avremmo avuto la possibilità di trarre il massimo dai nostri pc senza dover impazzire per i bug, i costi e le licenze assurde di Windows e dei suoi software collegati. Immaginavamo che questo sarebbe avvenuto grazie alla mitica affermazione di Linux come sistema desktop personale (“World domination, fast.“). E poi quando tutto sembrava a un passo dall’accadere, arriva Apple. Fa un os basato su Unix, ma non lo Unix libertario e idealista della licenza GPL, bensì lo Unix del compromesso col mondo commerciale, delle licenze compatibili con i Non Disclosure Agreement, con i sorgenti chiusi, con le modifiche non ridistribuibili. Insomma, lo Unix BSD, ulteriormente infarcito da licenze proprietarie Apple. Ci mette sopra un’interfaccia gradevole, un pacchetto di servizi a tutto tondo per cui l’utente non deve pensare a nulla se non ad abbonarsi e pagare qualche euro per ogni cosa, un set di apparati collegati e intonati all’estetica (iPhone, iPod, iPad, iEverything…) e senza neanche sforzarsi troppo si piazza come diretto avversario del mondo Windows relegando il desktop Linux al ruolo di comparsa.

Ma questo non è nulla! Il Cloud Computing. E’ l’era del cloud computing. Tutto ciò che fino a ieri era normale diventa di colpo obsoleto. Tenere le tue foto sull’hard disk del tuo pc? Ma c’e’ Picasa! C’e’ Flickr! C’e’ ImageShock! E se poi vuoi farle vedere ai tuoi amici come fai? Gliele mandi in allegato via email?? Dinosauro! Le devi mettere su Flickr e pubblicarle su Facebook così i tuoi amici le vedono semplicemente. Tieni la musica sulla tua penna usb e la sposti dal pc al notebook allo stereo della macchina e al pc dell’ufficio? Nooo devi mettere tutto su Dropbox e installare il client per usarlo sui vari computer, o anzi meglio ancora! Ascolta la musica direttamente da iTunes, da Lastfm, da Grooveshark, senza scaricartela e copiarla.. non vale la pena di sbattersi tanto, quando tutto è in linea su internet!

Tutto con buona pace del fatto che però Picasa, Facebook o Flickr nelle loro condizioni di servizio scrivono che l’accesso è gratuito ma loro si riservano qualche diritto sulle cose che tu pubblichi sui loro server, come ad esempio farne un po’ quello che vogliono senza doverti chiedere il permesso 🙂 Oppure che Dropbox, Grooveshark o altri possono in qualsiasi momento chiudere, oppure diventare totalmente a pagamento e non consentirti più alcun accesso ai “tuoi” dati se non vuoi abbonarti. Eh, ma tanto non erano più tuoi quei dati, non hai letto la clausoletta? 🙂

Va da sè quindi che si profetizza l’irrilevanza del desktop da qui a breve, la morte degli applicativi desktop tradizionali, e già si taccia di arretratezza chi rimane legato all’idea del proprio client locale che scarica la posta, del proprio hard disk con le cartelle piene di file, del proprio software di editing non-web, ecc.

Beh non voglio tirarla troppo per le lunghe, e non voglio nemmeno negare la comodità e il valore aggiunto che molti di questi nuovi servizi portano con se, tuttavia anche se condivido le gioie di mettere online le mie foto o altri miei dati affinchè siano visibili da altri, non arriverò mai a considerarli sostitutivi della tradizionale archiviazione locale su dischi o su cd e dvd. Continuo a usare una penna usb per spostarmi i dati da un pc a un altro, oppure – orrore! – il normale trasferimento dati via lan, oppure – orrore doppio! – mando una email a me stesso allegando il file da trasferire.

Il cloud concettualmente è interessante e funzionale, ma come ogni altra cosa dovrebbe essere totalmente nelle mani dell’utente. L’utente dovrebbe essere il gestore e soprattutto il proprietario dei contenuti e dovrebbe poter determinare tutti gli aspetti collegati. L’unico sistema cloud che mi immagino di poter usare con convinzione è un sistema gestito e configurato da me stesso, allocato su server di mia proprietà o comunque sotto la mia totale gestione, al quale accedo solo io e chi io voglio autorizzare ad accedere, e che rende disponibili le mie informazioni solo e soltanto nei modi e ai destinatari che io decido.

Eterna incertezza

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Ma sono rimasto l’unico al mondo a cercare cose che siano definitive e non soggette a cambiamenti?

L’oggetto dello sfogo è: le tariffe telefoniche.

La cosa ormai è comune sia alle tariffe di telefonia cellulare che a quelle di telefonia fissa, e in parte anche alla connettività Internet ADSL.

Ormai è un continuo fiorire di “… per 8 mesi invece che 6 mesi”, “assicurati questa splendida tariffa per tutto il 2010”, “prezzo eccezionale per il prossimo bimestre”, ecc.ecc.

Ma io non scelgo una tariffa per i prossimi 8 mesi, per tutto il 2010, per il prossimo bimestre, io la scelgo per sempre!

Se faccio un abbonamento, attivo una opzione, seleziono un piano tariffario, o qualsiasi altra azione di questo tipo, lo faccio sempre pensando di tenermelo, virtualmente, per tutta la vita. Non voglio pensarci mai più. Non voglio star lì fra sei mesi a ricalcolare tutto, a riverificare, a prendere in considerazione addirittura l’idea di cambiare provider, numero di telefono, tipologia di contratto ecc.

Possibile che tutti si trovino a proprio agio con questa continua indeterminatezza e incertezza, con questo dover continuamente ricontrollare lo stato delle tariffe per capire se non stanno sprecando soldi mantenendo una tariffa che tre mesi fa era ottimale e ora è diventata la peggiore sul mercato, tra le nuove offerte e la scadenza delle condizioni di favore che offriva?

Io sono il tipico cliente che un fornitore può tranquillamente mettere nell’elenco dei fedelissimi. Una volta che mi abbono a qualcosa o sottoscrivo un servizio, non lo cambio più. Mi accontento anche di un leggero svantaggio economico, nel caso che col tempo i servizi concorrenti diventino più convenienti, piuttosto che compiere la trafila di ricerca di un nuovo servizio, disdetta di quello precedente, attivazione del nuovo, eventuale comunicazione a terzi del cambiamento, eventuali disguidi col vecchio fornitore che non registra la disdetta e continua a fatturarmi il servizio, ecc.

Devo essere veramente un caso anormale.

CC BY-NC-SA 4.0 .